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Sindrome post-COVID

Possibilità dell’accertamento diagnostico di laboratorio

Nel settembre 2022, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha reso noto che, nei primi due anni della pandemia, almeno diciassette milioni di persone nella regione europea dell’OMS si erano ammalate di Long COVID. L’OMS ha segnalato la possibilità che milioni di persone debbano convivere con la malattia ancora per diversi anni e ha chiesto urgenti investimenti nella ricerca e nella riabilitazione [1]. Da quando è stata accertata l’esistenza del Long COVID, la ricerca si è molto impegnata per comprendere la causa di questa malattia e per identificare le possibilità di un intervento terapeutico. La diagnostica di laboratorio può contribuire in maniera importante all’identificazione della sindrome post-COVID (PCS), alla comprensione dei meccanismi fisiopatologici e alla successiva adozione di misure terapeutiche.

Che cos’è il post-COVID?

La terminologia e la definizione di sindrome post-COVID e sindrome Long-COVID sono differenti. La definizione attualmente riconosciuta è dell’OMS, alla quale si orienta anche l’UFSP. La sindrome post-COVID (PCS) è presente quando, tre mesi dopo un’infezione da SARS-CoV2, i sintomi persistono o compaiono nuovi disturbi; i sintomi devono essere presenti per almeno due mesi senza un’altra causa riconoscibile. Il termine «Long-COVID» non viene definito in maniera particolare dall’OMS e dall’UFSP [2], la linea guida S1 dell’AWMF propone una differenziazione temporale: i disturbi che persistono dalle 4 alle 12 settimane dopo l’infezione vengono classificati come Long-COVID, mentre quelli presenti per più di 12 settimane e che non sono spiegabili con un’altra diagnosi vengono classificati come sindrome post-COVID [3].

Quadro clinico

I sintomi della PCS sono vari e possono interessare praticamente tutti i sistemi organici. Sono noti oltre 200 sintomi da post-COVID [4]. La maggior parte dei sintomi della PCS compromette la vita quotidiana delle persone colpite; quelli più comuni sono: affaticamento, spossatezza e intolleranza allo sforzo, affanno e disturbi respiratori, problemi di concentrazione e di memoria (Brain Fog), mal di testa, dolori muscolari e articolari, disturbi dell’olfatto e del gusto [3]. Il sintomo più frequente di PCS, l’affaticamento [4], è simile alla sindrome da stanchezza cronica (Chronic Fatigue Syndrom, CFS), che compare dopo altre malattie infettive virali e dopo l’encefalite mialgica (ME).

Prevalenza e fattori di rischio

I dati sulla prevalenza della PCS sono diversi. L’OMS stima che il 10-20% delle persone infettate da SARS-CoV-2 sviluppa un Long-COVID [5]. I fattori di rischio di comparsa di una PCS sono soprattutto il sesso femminile, l’età avanzata, lo stato metabolico obesità/diabete, le malattie psichiatriche/neurologiche pregresse, altre comorbilità e la severità dell’infezione da COVID-19. La PCS è stata, però, diagnosticata anche nei bambini, nei giovani e nelle persone con un’infezione da COVID-19 lieve [4].

Cause

A causa della sua complessità e della sua eziologia poco chiara, spesso la PCS non viene riconosciuta. Per la genesi della PCS, esistono diverse ipotesi. Cause spesso discusse sono:

  • Infezione virale persistente: il virus rimane attivo in differenti organi.
  • Riattivazione di virus latenti: l’infezione da SARS-CoV-2 ha riattivato dei virus latenti (ad es. EBV).
  • Autoimmunità: malattie autoimmuni in seguito a un’infezione da SARS-CoV-2

Biomarcatori della PCS

La diagnosi è difficile e si basa su un approccio multifattoriale che comprende sintomi clinici, esami fisici e funzionali e analisi di laboratorio. Fino ad oggi, non esiste un singolo parametro di laboratorio in grado di documentare o di escludere in maniera affidabile una sindrome post-COVID. È quindi opportuno diagnosticare la PCS mediante una combinazione di esami di laboratorio di base e specifici per i sintomi e/o fare diagnosi di esclusione, con l’ausilio della diagnostica differenziale.

Diagnostica immunologica

Circa la metà dei pazienti colpiti da PCS soddisfa anche i criteri diagnostici della sindrome da stanchezza cronica. L’affaticamento e la ME/CFS costituiscono una malattia sistemica che si manifesta con una serie di sintomi neurologici e immunologici ed è accompagnata da stanchezza persistente, che non migliora con il sonno né con il riposo. Le persone colpite dalla sindrome da stanchezza post-infettiva presentano spesso reazioni alterate delle cellule T e B [4]. Nella PCS sono stati messi in evidenza dei profili immunofenotipici alterati:

Popolazioni cellulari aumentate nella PCS:

  • cellule T CD4+ che producono IL-4 e IL-6 [8]
  • cellule T PD-1+ esaurite [8, 9]
  • cellule B attivate [8]

Popolazioni cellulari ridotte nella PCS:

  • cellule T regolatorie [10, 11]
  • linfociti T naive
  • cellule dendritiche convenzionali (cDC1) [8]

I risultati riguardanti le cellule T regolatorie (Treg) non sono univoci. Una riduzione delle Treg supporterebbe la tesi secondo la quale, nell’ambito della PCS, l’aumento della produzione di linfociti autoreattivi potrebbe causare malattie autoimmuni [12].

Autoimmunità

Nella PCS, l’autoimmunità può svolgere un ruolo, perché diversi meccanismi (tra cui il mimetismo molecolare) attivano cronicamente il sistema immunitario [6]. In una malattia autoimmune, può comparire una disfunzione o una riduzione delle cellule Treg, che porta a un disturbo dell’immunoregolazione. Di conseguenza, le cellule Treg reagiscono in questi casi in maniera insufficiente o inefficace per inibire l’attivazione e la proliferazione delle cellule T e B autoreattive. La mancanza di un’adeguata funzione delle cellule Treg consente alle cellule immunitarie autoreattive di attaccare i tessuti propri dell’organismo, potendo causare infiammazioni e danni a carico di diversi organi e tessuti [12].

Per quanto riguarda la fisiopatologia della ME/CFS, sono al centro dell’attenzione soprattutto gli autoanticorpi contro determinati recettori presenti nel sistema nervoso vasoregolatore, immunoregolatore o autonomo. Questi recettori fanno parte di un’ampia e diversificata famiglia di oltre 800 proteine, i cosiddetti recettori accoppiati alle proteine G (GPCR). Negli studi si è documentato che la severità della spossatezza e dei dolori muscolari nei pazienti con ME/CFS causati da un’infezione è in correlazione con la concentrazione degli autoanticorpi GPCR. Gli autoanticorpi contro i GPCR sono ampiamente diffusi nella PCS e molto più comuni che nei sani e nei guariti. Per questo, per documentare l’autoimmunità nella PCS può essere opportuno combinare più autoanticorpi GPCR [13]. Nel nostro pannello di autoanticorpi anti-recettori di neurotrasmettitori, analizziamo le concentrazioni di anticorpi anti-recettori m dell’acetilcolina M3 (CHRM3), anticorpi anti-recettori m dell’acetilcolina M4 (CHRM4), anticorpi anti-recettori β1-adrenergici (ARDB1) e anticorpi anti-recettori β2-adrenergici (ARDB2), che nella PCS compaiono spesso in concentrazione elevata [13, 14].

Ulteriori informazioni

La bibliografia, le note a piè di pagina e ulteriori informazioni sono contenute nel seguente opuscolo:

 

Il profilo nel repertorio di analisi è disponibile qui: